Il nuovo libro

Gli Ospiti

«L'intensità di Istanbul
mi aveva stordito,
un luogo da vivere in apnea,
senza un attimo di pace»

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Lui è un giovane italiano, cervello in fuga che ormai da tempo lavora all’estero. Lei è una giovane turca che desidera vivere nel suo Paese. Quando insieme si trasferiscono a Istanbul, sulle prime la vita sembra dolce: certo, ci sono differenze culturali; certo, ci sono situazioni insolite; ma la città appare moderna e occidentale e l’amore è capace di superare ogni divergenza.

Ma è il 2011, il regime di Erdogan comincia a serrare la sua morsa, nella società profondamente divisa tra laici e musulmani i semi della violenza stanno già portando frutto. L’inquietudine sfocerà nella rivolta di Gezi Park, che i due protagonisti vivranno in prima persona, ma con stati d’animo ed esiti profondamente e tragicamente diversi.

Un romanzo d’amore e di disillusione, che raffigura con sensibilità e spietatezza una generazione, quella dei trentenni, cresciuta nel benessere e nell’individualismo. Una generazione che nella possibilità di fare le rivoluzioni e cambiare le cose non crede più. O forse sì?

«Agli occhi di Ipek esistevano "due Turchie"»

La Turchia di Ipek, i cosiddetti «turchi bianchi», era sicura della sua missione civilizzatrice, un Paese che pensava di guardare all’Europa ma che in realtà voleva somigliare soprattutto all’America. Donne in carriera, costose scuole private, consumismo e perfetta conoscenza dell’inglese. Diritti e democrazia sbandierati in pubblico ma nei fatti assicurati soltanto a quella minoranza che aderiva ai suoi valori. Una Turchia non molto tollerante verso chi non la pensasse come lei. Una Turchia molto simile a me, una Turchia nella quale non facevo fatica a riconoscermi. Anche l’altra Turchia, quella credente e osservante, aveva una missione civilizzatrice, ma all’apparenza opposta. L’altra Turchia voleva infatti uno stato di moralità islamica, o così amava ripetere la Turchia di Ipek. Una Turchia che adesso aveva un suo rappresentante al governo. Un’altra Turchia ma essa stessa poco tollerante nei confronti di chi non la pensasse come lei.

«Mi innamorai di Ipek e delle sue passioni»

Era impetuosa, assoluta, priva di compromessi. Un piatto era «unico» o «pessimo», una persona «geniale» o «stupida», un luogo «meraviglioso» o «orribile». Assaggiava tutto, amava mordere la vita. Rideva di me, del mio parlare in continuazione con amarezza e nostalgia di politica, dell’Italia. Per lei la politica era qualcosa di distante e inutile. Al governo c’era Erdoğan, gli islamisti, «gli altri», era una battaglia persa in partenza. Tanto era appassionata al suo Paese, quanto disinteressata alle sue vicende pubbliche. Ogni tanto una notizia pareva scuoterla, ma ben presto veniva dimenticata. Una sera la trovai a casa più presto del solito. Indossava un vestito rosso e un sorriso. Mi fece sedere e mi versò un bicchiere di vino. Aveva preparato un piatto di yaprak sarma, foglie di vite ripiene di riso. Le aveva stese a mano, a una a una, passando tutto il pomeriggio a preparare quella cena. La tavola era apparecchiata con cura con al centro cinque piccoli piatti di meze.